Goldoni in Cina
di Yu Weijie
La nascita del teatro moderno in Cina è strettamente legata all’introduzione e alla messa in scena di commedie occidentali, sia europee che americane. Fino agli inizi del secolo attuale, la scena cinese è stata dominata dall’opera tradizionale, che era un insieme di danza, canto, parti declamate, mimate e acrobatiche. Solo con la rivoluzione del 1911 furono gettate le basi per una nuova cultura con caratteristiche antifeudali e anticonfuciane, il che finì per mettere in crisi l’ideologia stessa al sottofondo dell’opera tradizionale, insieme a tutte le sue convenzioni altamente stilizzate. Fu proprio in quel periodo che un gruppo di giovani cinesi, che studiava in Giappone, venne in contatto con il teatro occidentale, che riuscì ad introdurre in Cina, sfidando il contenuto e lo stile dell’opera tradizionale: questo fatto diede avvio ad una forma teatrale totalmente diversa, chiamata huaju letteralmente “teatro parlato”. Come dire la prosa.
Il repertorio presentato comprendeva opere occidentali sia classiche che contemporanee, dalla tragedia greca a Maeterlinck, da Shakespeare a Eugene O’Neill, includendo diverse scuole e, persino, le “mode” dell’epoca. Gli autori più rappresentati del periodo attorno agli anni Venti-Trenta furono Shakespeare e Ibsen, una scelta più sociale e politica che teatrale. Cosa che finì per condizionare, sin dalla nascita, il nuovo teatro di prosa cinese e i nuovi autori (si veda per esempio Quo Moruo e Cao Yu). Stranamente, la messa in scena delle opere di Carlo Goldoni si ebbe solo dopo la rivoluzione del 1949 (questa ricerca è basata sul materiale reperito nella biblioteca dell’Accademia teatrale di Shanghai e in quella dell’Accademia teatrale di Pechino, attualmente le maggiori istituzioni per la ricerca di dati sul teatro in Cina).
Il primo incontro con Goldoni avvenne infatti agli inizi degli anni Cinquanta, quando un gruppo di studenti del dipartimento regia dell’Accademia teatrale di Pechino, al fine di migliorare la tecnica d’improvvisazione e di recitazione, affrontò il testo di Arlecchino servitore di due padroni provando prima alcune scene e poi l’intera commedia: si trattò più che altro di un training accademico, né ebbe risonanza all’esterno. Anni dopo e una volta diplomati, con l’appoggio governativo, quegli stessi studenti fondarono un Centro sperimentale di prosa: il loro scopo era di diffondere e perfezionare il nuovo stile che avevano appreso e portato avanti seguendo il metodo Stanislavskij. Come spettacolo d’inizio scelsero appunto Arlecchino servitore di due padroni, che venne rappresentato a Pechino nel 1956 su testo tratto dalla versione russa da Weishi Sun, regista anche dello spettacolo.
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La commedia ebbe buon successo in quanto “testava l’intelligenza e il buonsenso di Arlecchino, esponente dello strato più basso della società, sfruttato dalla classe dominante, che cercava di mutare la sua poco felice situazione”. Avendo vissuto esperienze analoghe a quelle del protagonista, il pubblico cinese poteva anche rispecchiarvi il proprio passato e, infine, il risalto dato alla storia d’amore fra Arlecchino (attore Ding Li) e Smeraldina (attrice Chi Xiao) metteva in luce le qualità positive del primo.
Lo spettacolo venne ripreso tre anni dopo, in occasione della giornata internazionale del lavoratore tenutasi a Pechino in maggio, e quindi “esportato” per così dire in altre regioni, e messo in scena da compagnie locali.
L’interesse per gli operatori teatrali era duplice. Infatti, oltre all’importanza sociale e politica attribuita all’Arlecchino goldoniano, il testo sembrava offrire degli spiragli per liberarsi dalla rigida impostazione di Stanislavskij.
Occorre ricordare che, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, l’unico sistema ritenuto valido nel campo della prosa era quello di Stanislavskij. Attori ed esperti sovietici dell’Accademia teatrale di Leningrado e del Teatro d’arte di Mosca venivano infatti regolarmente invitati all’Accademia teatrale di Pechino e quella di Shanghai per tenere corsi agli allievi aspiranti-attori. In tal modo tutta una generazione fu altamente influenzata dal metodo russo di recitazione e, pertanto, nell’edizione goldoniana del 1956 data al Centro sperimentale di prosa si verificava una certa disarmonia fra lo spirito della commedia dell’arte italiana e il modo di recitare appreso a scuola.
Arlecchino servitore di due padroni è stato messo in scena da altre compagnie teatrali locali: del 1962 è l’edizione data dal Teatro d’arte del popolo di Tienjin che ripeteva però gli shcemi e presentava quindi le lacune della messa in scena precedente. L’edizione data in seguito a Jielin risultò invece più libera e vivace, sebbene, ebbe gran successo e fu portata in tournée nel sud della Cina, per poi essere rappresentata a Shanghai, la “culla” del teatro di prosa cinese. I critici parlarono di “buon esempio di come presentare in modo positivo dei caratteri comici”, e l’insieme fu ritenuto “piacevole e vivace tanto da rallegrare il pubblico come una giornata di primavera”.
L’attore principale, Gang Jin, interpretò lo spirito di Arlecchino, con una serie di movimenti scenici rapidi e con una piacevole voce tenorile. Raggiunse l’apice in due scene: quando, verso la fine dell’atto II, si trova a reggere i piatti ordinati dai due padroni, e poi, all’inizio dell’atto III, quando per mettere in ordine i vestiti finisce per confonderli. Certo, non era il genere di “acrobazia” che avrebbe usato Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano, ma piuttosto una mossa scenica tipicamente cinese, derivante dalle convenzioni acrobatiche dell’opera di Pechino. Comunque, lo stile dello spettacolo si avvicinava abbastanza a quanto voluto da Huang Zuolin.
Ma il suo progetto fu interrotto dalla rivoluzione culturale che ebbe inizio nel 1966. L’intero teatro cinese si fermò, e per circa dieci anni fu dato solo spazio a otto opere rivoluzionarie in stile tradizionale, opere-modello volute dalla moglie di Mao per attuare i suoi principi artistici. Proibite tutte le commedie di autori occidentali, anche il nome di Carlo Goldoni venne cancellato.
Per un Arlecchino cinese
Passata la rivoluzione culturale, tornò a risentirsi la voce di Huang Zuoling che nel suo Note di regista invitava nuovamente i professionisti del campo teatrale a trovare uno stile di recitazione tipicamente cinese, diverso da quello sovietico, con un occhio al teatro europeo ed uno a quello tradizionale. Ritornava così il nome di Goldoni.
Nel luglio del 1980 il Centro sperimentale di prosa ripresentò Arlecchino servitore di due padroni, sotto la direzione di Zao He che già aveva interpretato Smeraldina nell’edizione del 1956.Attrice e regista, Zao He non ripeté pedestremente l’esperienza di anni prima, ma tentò una recitazione nuova e brillante basata sulla sua interpretazione della commedia dell’arte italiana. A tal fine arrangiò un sottofondo musicale tratto da famose canzoni napoletane, sperando in tal modo di spingere il pubblico ad immaginare con “l’occhio della mente” lo splendido paesaggio veneziano del diciottesimo secolo, oltre a dare un tono allegro e scorrevole allo spettacolo. Teniamo presente che agli inizi degli anni Ottanta minima era la conoscenza della cultura europea, e questo spiega perché si erano adottate delle canzoni popolari napoletane come sottofondo musicale per Venezia. E anche lo scenario non assomigliava per niente ad una città italiana: da una parte c’era una facciata gotica, mentre in distanza si intravedeva una torre pendente. Arlecchino era interpretato da Benchang You, attore famoso in Cina, il quale, invece dell’abito a pezze, indossava larghi pantaloni da soldato francese, lunghe calze a righe rosse e bianche, un panciotto color carne, mentre una benda rossa gli cingeva la fronte. In base alla teoria marxista, si voleva dar risalto al contrasto fra Arlecchino e i suoi padroni: lui era un contadino-servo dolce e umile, con arguzia e speranza negli occhi un po’ ironici, e il pubblico cinese captava subito il personaggio. Questa edizione di Arlecchino fu notata per la vivacità che si riteneva appartenesse alla commedia dell’arte italiana, e fu ritenuta assai audace ed originale dato il clima di restaurazione stanislavskiana del teatro di prosa cinese di quegli anni.
Ancora Stanislavskij
Arlecchino tornò ancora in un’edizione del 1981 ad opera dell’Accademia teatrale di Shanghai. Diretta da Zhao Guobing, vantò una moderna ed originale messa in scena. Nel centro del palcoscenico era stata collocata una piattaforma sulla quale una struttura di metallo a barre serviva da base per lo scenario; cambiando le assi di legno dipinto negli intervalli e con l’aggiunta di pochi oggetti, il luogo mutava rapidamente, si passava da un angolo di strada all’albergo, al salotto di Pantalone. Lo sfondo del palcoscenico consisteva in due grandi lamiere di stagno, sulle quali giocavano luci diverse a indicare via via l’atmosfera della commedia. L’impressione resa al pubblico era forte e l’illuminazione ideata da Jiang Miaoling giocava un ruolo importante. Con ciò, Stanislavskij era sempre presente.
Un’influenza che risultò chiara anche quando venne rappresentata nel 1982 dall’Accademia teatrale di Pechino La locandiera. Diretta collettivamente da Bu Xu, Xhongquan Xu e Guechung Yin, per il resto si ricorse alla versione dal russo di Weishi Sun. L’intera commedia era stata suddivisa in sette scene, alcune basate sui monologhi o sui dialoghi brevi, mentre discorsi esplicativi collegavano il tutto e avvenivano davanti al sipario semiaperto dietro il quale si cambiavano gli scenari. Fra aggiunte e tagli, ogni scena si concentrava su una sola azione drammatica, la commedia risultava più agile.
La scenografia di Daren Xing era di tipo realistico, ricordava di più l’architettura europea del nord che non quella di una città italiana. Inoltre, come sempre in quasi tutte le commedie occidentali messe in scena da attori cinesi, ci si avvaleva di pesanti parrucche, in genere inadatte e persino ridicole per questi ruoli.
Agli inizi del 1984 da un gruppo di allievi-attori dell’Accademia teatrale di Shanghai venne messa in scena La vedova scaltra, avvalendosi di un training specifico, comprendente movimenti acrobatici dell’opera tradizionale cinese uniti ad altri di danza occidentale.
L’attrice Yaping Tang, che interpretava il ruolo principale, stando alle sue stesse parole precisò di aver vissuto la commedia come una storia d’amore particolare nella quale “venivano messe in risalto le idee patriottiche della protagonista, mentre si esecrava l’ipocrisia e la dissolutezza degli invasori stranieri”.
Gli ultimi spettacoli
L’ultima messa in scena di Carlo Goldoni in Cina è stata un’altra edizione della Locandiera proposta dall’Accademia teatrale di Shanghai. Diretto da Zhao Guobing, lo spettacolo sembrò però indulgere nella ricerca di un linguaggio scenografico particolare.
A tutt’oggi, nelle opere di Carlo Goldoni rappresentate in Cina, mentre viene sempre sottolineata l’importanza della sua riforma della commedia dell’arte, non è stato ancora pienamente raggiunto lo stile del suo teatro, sia per l’eccessiva influenza del metodo Stanislavskij sulla prosa cinese, sia per un mancato e diretto confronto con l’originale.
In conclusione, le opere di Carlo Goldoni sono sempre state considerate rappresentazioni d’avanguardia sia in termini di “commedia sociale” (Arlecchino è ritenuto un rappresentante della classe lavoratrice in una società capitalista in formazione durante il Medioevo, che contestava il fatto che un servo potesse lavorare per due padroni, con tutti i conseguenti significati), di “commedia di costume” come nel caso della Vedova scaltra, e nei termini di “commedia di maniere”, e qui si veda La locandiera.
La reale importanza sociale con la quale Goldoni si sforzò di innovare la vecchia commedia dell’arte, esaltata qualche volta anche eccessivamente, è stata ben compresa dal pubblico cinese, mentre non può dirsi altrettanto per quanto riguarda la struttura del suo teatro, il ritmo, le convenzioni, i movimenti flessibili del corpo, la tecnica di recitazione e di improvvisazione.
Problemi che sono tutti venuti in luce e che si pensa verranno risolti grazie alle traduzioni dall’originale oggi reperibili in Cina e alle possibilità maggiori di incontro e conoscenza.
Da Bicentenario Goldoniano, Goldoni vivo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1993.
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