....Testimonianze
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...2. L'opera del villaggio......... ......(Lu Hsun)
...3. Le mie opere preferite...... ......(Mei Lanfang)
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...5. Marionette e teatro delle... ......,ombre
...6. I luoghi scenici nel.tempo
...7. Musica e strumenti........... .......musicali (Yu Weijie)
...8. Il teatro cinese e quello..... ......occidentale: due tecniche.. ......contrastanti....................... .....,(Huang Zuolin)
...9. Goldoni in Cina................ ,,,,,,,(Yu Weijie)
Il teatro cinese e quello occidentale: due tecniche contrastanti
di Huang Zuolin

Un attore, come già altri artisti che si avvalgono di altri strumenti, si serve di mezzi teatrali per riflettere la realtà ed influire su di essa. Poiché le idee degli uomini sulla vita e sull’arte sono condizionate e limitate dal particolare periodo storico e dalla classe sociale cui essi appartengono, le tecniche teatrali mutano di periodo in periodo, soggette come sono a questi fattori, per quanto non sempre e necessariamente sia così. La storia del teatro è il frutto di questa ricerca illimitata dell’uomo verso nuove tecniche sceniche e nuove realtà teatrali.
…Vorrei qui prendere in esame tre diversi modi di considerare il teatro e cioè, quelli di Mei Lan-fang, di Stanislavsky e di Brecht, con lo scopo di puntualizzare quanto di comune e di diverso vi è fra di loro, quali possibilità risultano da un’eventuale influenza dell’uno sull’altro e infine, per comprendere se qualcosa di nuovo non possa emergere dal passato.
Mei Lan-fang, Stanislavsky e Brecht sono tre grandi maestri del realismo, ciascuno comunque con propri metodi e mezzi di espressione. Mei Lan-fang fu l’esponente più rappresentativo e maturo del teatro classico cinese, un tipo di teatro molto diverso, - anzi fondamentalmente diverso – da quello occidentale. Personalmente, ritengo che queste siano le caratteristiche del teatro tradizionale cinese inteso nel suo momento migliore:
1) La fluidità: non vi è alcun sipario che si alzi o si abbassi o alcun cambiamento di scena come invece è costume nel teatro moderno occidentale, ma le scene si susseguono l’una dopo l’altra, direttamente. È già un’arte avere sempre il tempo, il ritmo e il montaggio appropriati.
2) La plasticità: la scena cinese è estremamente duttile e non ha alcuna limitazione di tempo e di spazio.
3) La statuarietà: mentre su di un palcoscenico occidentale i personaggi sono limitati a due dimensioni, come in un quadro, nel teatro tradizionale cinese essi vi appaiono tridimensionalmente.
4) La convenzionalità: caratteristica fondamentale del teatro cinese è quella di aderire ad un elaborato sistema di convenzioni comunemente accettato. Noi riteniamo impossibile, se non addirittura sgradevole, rappresentare la vita reale su di un palcoscenico senza qualche abbellimento. Una commedia è una commedia: si tratta chiaramente di teatro. E perciò noi abbiamo inventato un insieme di convenzioni al fine di superare i limiti di tempo e di spazio, e perché la vita su di un palcoscenico vi appaia più libera ed elevata.

La grandezza dell’arte di Mei Lan-fang consistette proprio in questo, e cioè nel fatto che egli portò a perfezione queste quattro caratteristiche. Dopo aver assistito ad una recita di Mei Lan-fang, Brecht, pieno di entusiasmo e di lodi, scrisse: ‘(A nostro avviso) Questo è il modo di recitare più solido e pregevole cui possa giungere un essere razionale: tutto ciò richiede una grande esperienza di vita ed una grande conoscenza dell’uomo, infine, un’acuta comprensione dei valori sociali. Naturalmente, qui siamo anche in presenza di un processo creativo; ma il suo valore è più alto, poiché è stato trasferito sul piano della coscienza’.
L’aspetto più importante della teoria brechtiana consiste nel credere che una certa distanza debba sempre essere mantenuta fra gli attori ed i personaggi che essi rappresentano, fra il pubblico e gli attori, infine, fra il pubblico ed i personaggi. In altre parole, gli attori non debbono identificarsi con i personaggi e il pubblico non deve identificarsi con gli attori, quantomeno con i personaggi. Attori, personaggi e pubblico devono mantenere una certa distanza l’uno dall’altro. Scrisse infatti Brecht: ‘Neppure per un secondo è permesso all’attore di identificarsi con il personaggio che rappresenta’. E questo è esattamente il contrario di ciò che pensava Stanislavsky, e cioè che un attore ‘deve entrare nel personaggio’. E cioè, come ha giustamente puntualizzato Sadovsky, allievo di Stanislavsky: ‘Fra attore e personaggio non vi deve essere distanza sufficiente da far passare un ago’. Ma non certo questo era il pensiero di Brecht. Se egli tendeva ad un certo ‘distanziamento’ era perché voleva impedire che il teatro divenisse il luogo di un meraviglioso incantesimo e di ‘dannosi effetti narcotici’, era perché voleva prevenire l’attore dall’ignorare completamente il pubblico ai suoi piedi, per identificarsi con il personaggio della commedia e quindi scordare tutto ciò che si stava rappresentando. Egli così si avvalse di molti accorgimenti e proprio per impedire che si attuasse questo stato di allucinazione e per timore che attori e spettatori, trascinati dal sentimento, perdessero la propria capacità di raziocinio e non fossero più in grado di intendere il messaggio dell’autore in modo lucido e critico, quindi di considerare il significato delle cose. In altre parole, se attori o spettatori partecipano eccessivamente allo svolgersi dell’azione e ai sentimenti dei personaggi, ad un certo punto essi non sono più in grado di usare della propria capacità di ragionamento, non sono in grado di un giudizio scientifico obiettivo, e pertanto non sono capaci di comprendere chiaramente la vita e la realtà contenute nel lavoro teatrale quanto meno di elaborarle.
È stato rimproverato a Brecht di non permettere agli attori di dimostrare la minima emozione ma di volere invece che essi pronuncino freddi e didattici sermoni. Si può certo qui ribattere che non è così. Egli si opponeva soltanto all’uso dell’emozione per giungere ad uno stato di trance, e infatti egli pensava che il teatro deve aprire la mente degli uomini ma per mezzo della ragione… Un suo amico, il noto critico Eric Bentley, disse una volta che Brecht desiderava che ciascuno ‘pensasse col cuore e sentisse col cervello’. Brecht stesso scrisse: ’Non è possibile spiegare il dramma epico con qualche definizione tecnica. Ma forse, il punto fondamentale è che il dramma epico non fa appello al sentimento dello spettatore ma al suo intelletto’. E altrove egli scrisse: ‘La vera emozione nasce dal sentimento e dalla conoscenza, e questo è esattamente quanto noi ricerchiamo’. Personalmente ritengo che egli volesse dire che, quando la ragione è sufficientemente stimolata, subentra l’emozione. E in questo dovrebbe consistere il potere stimolante dell’arte. Diceva Brecht che bisognerebbe tendere ad un teatro dialettico, nel quale si fondessero ragione e sentimento.
E dunque, il pensiero di Brecht era opposto a quello di Stanislavsky? Possiamo dire sì e no poiché, genericamente parlando, i loro punti di vista sull’arte erano identici mentre differivano diametralmente le loro concezioni del teatro. Brecht e Stanislavsky avevano molte cose in comune; per esempio, entrambi erano dei realisti e si opponevano in modo deciso al naturalismo. Spesso Stanislavsky è stato tacciato di naturalismo, cosa che non è vera. Nella Mia vita nell’arte egli scrisse: ‘Giusto per fare dell’umorismo, dei giornalisti affermano che noi alleviamo delle mosche, delle zanzare dei grilli ed altri insetti ancora…e che obblighiamo i nostri grilli ammaestrati a cantare sul palcoscenico, proprio per ricreare un’atmosfera reale’. In base a questo possiamo dire che, per quanto Stanislavsky credesse nella riproduzione della realtà sulla scena, egli non intendeva senz’altro una pedestre trasposizione della vita senza alcun ritocco. Un’altra affinità fra Brecht e Stanislavsky fu quella dell’accento posto sui movimenti di scena. ‘L’attore’, diceva Brecht, ‘deve trovare…movimenti adatti ad esprimere le emozioni del personaggio che egli rappresenta, movimenti idonei cioè ad esprimerne il processo mentale. Quando le emozioni si esternano e trovano espressione, solo allora si attuano la forma e il contenuto’. E Stanislavsky aggiunse: ‘La forma umana – è la forma dei suoi movimenti. Sul palcoscenico ci dev’essere movimento; movimento, azione – questa è la base della recitazione…Ciò che è invisibile deve essere reso visibile…Più di ogni altra, gli attori della nostra scuola devono non soltanto prestare maggiore attenzione a quei mezzi interiori che inducono alla comprensione, ma anche agli strumenti esterni…che esprimono in modo aderente le emozioni’. Su questo punto concordano questi tre grandi maestri dell’arte teatrale, Brecht, Stanislavsky e Mei Lan-fang, così pure come un altro grande attore cinese, Zhang Decheng, veterano dell’opera dello Seciuan, le cui parole sono divenute famose: ‘Il sentimento che nasce all’interno trova espressione all’esterno nei movimenti e nei gesti’.
Questo per quanto riguarda gli aspetti comuni a Mei Lan-fang, Stanislavsky e Brecht. Quali dunque le divergenze? In parole semplici, la differenza più notevole era che Stanislavsky credeva nel ‘quarto muro’, Brecht voleva distruggerlo, mentre per Mei Lan-fang esso non esisteva del tutto e quindi non vi era alcun bisogno di eliminarlo, dato che il teatro cinese è sempre stato così totalmente convenzionale da non aver mai neppure cercato di ricreare un’illusione di realtà davanti al pubblico. In teatro è ben nota l’espressione ‘quarto muro’, ma pochi certo se ne chiedono l’origine o ne comprendono appieno il significato nella storia della teoria teatrale e l’influenza che ha avuto nell’arte scenica moderna. Questo termine è nato oltre un secolo fa, con esattezza il 30 marzo 1887, in un momento nel quale lo stile del teatro dell’occidente era pessimo, vacuo e artificioso, pietosamente privo di vita e di contenuto. Zola definiva tutto ciò ‘le rovine cadenti del teatro di ieri’. E Mérimée riassumeva il teatro francese di questo periodo con queste parole: ‘Pan, pan, pan! Tre colpi ed il sipario si alza. Sorriso, dolore, pianto, morte. Lui viene ucciso, lei muore. Fine’. Per aver la meglio su queste vecchie formule, Zola ed i suoi contemporanei dissero, ‘Il teatro deve essere salvato’, ed il rimedio che essi proposero fu la scienza. E infatti la scienza in quel periodo era la forza che agiva anche nel campo delle lettere, e nulla poteva essere fatto se non su basi scientifiche. Inoltre, dopo la rivoluzione della borghesia francese e la Comune di Parigi, si era perduto ogni interesse nelle commedie che rappresentavano l’aristocrazia e lo spirito individuale, ma si chiedeva al contrario lavori che riflettessero la vita quotidiana e la dura lotta della gente. I drammaturghi, partendo dalla premessa che per mutare la realtà bisogna dapprima conoscerla, iniziarono col riprodurre sulla scena la realtà, in modo fedele anche se meccanico, la realtà com’era, e definirono questo metodo ‘scientifico’. Questo fu l’inizio della scuola naturalistica. Della quale il principale protagonista fu André Antoine che diede avvio a questo nuovo teatro libero il 30 marzo 1887. E quasi nello stesso giorno, un altro commediografo, Jean Jullien, portavoce della stessa scuola, disse: ‘L’attore deve recitare come se fosse a casa propria, senza preoccuparsi delle reazioni del pubblico. Che lo spettatore applauda o fischi, ciò non lo deve riguardare. Ci deve essere come un quarto muro davanti al palcoscenico, un muro trasparente per il pubblico ma non per l’attore’. E questo portò al principio di Stanislavsky del ‘pubblico isolamento dagli spettatori’. Dopo che André Antoine ed il suo gruppo ebbero alzato questo muro che separa l’attore dal pubblico, si aprì per il teatro un nuovo periodo che vide apparire molti lavori di pregio, ed infatti il dramma naturalistico diede origine a lavori di un realismo critico che mostrava la natura della società borghese, con tutti i suoi vizi, le sue follie e la sua ipocrisia. Fra i più grandi commediografi del diciannovesimo secolo ricordiamo, Ibsen, Bernard Shaw, Hautmann, Cecov ed altri ancora.
…Vorrei qui richiamare l’attenzione del lettore su di un punto. Questo metodo di espressione, questo tentativo cioè di creare un quarto muro ed un’illusione di realtà sul palcoscenico, non è che uno dei tanti artifici del teatro. E nello sviluppo teatrale di ben duemilacinquecento anni, questo metodo ha una storia di appena settantacinque anni, ed anche in questo breve periodo non tutti i commediografi ne hanno fatto uso. La sua influenza è stata così notevole che alcuni lo considerano come l’unico metodo. Ma ciò impone dei limiti, poiché infatti ci separa dalla struttura stessa del palcoscenico, e quindi impedisce seriamente il lavoro creativo.
Nell’intento di superare questi limiti, Brecht propose di abbattere il quarto muro e di eliminare ogni illusione di realtà. Al posto del muro egli pose lo Verfremdungseffekt (effetto di ‘estraneazione’) per disperdere ogni illusione di realtà ed impedire che il pubblico si identificasse con gli attori o con i personaggi. Brecht stesso fece questo commento alla scuola di Stanislavsky: ‘La trasformazione (dell’attore nel personaggio rappresentato) è un gioco molto pericoloso. Stanislavsky ha indicato molti metodi, ha elaborato un intero nuovo sistema per ottenere un apporto originale ad ogni rappresentazione. Ma un attore non può entrare nella parte e restarvi a lungo, presto si stanca ed incomincia semplicemente ad imitare qualche caratteristica superficiale del suo ruolo, qualche atteggiamento o intonazione di voce, sino ad avere un effetto molto limitato sul pubblico’. E continuò: ‘Queste difficoltà non avrebbero toccato un attore del teatro tradizionale cinese. E infatti sin dall’inizio egli non ha il problema della trasformazione. Dal principio alla fine semplicemente ‘racconta’ il suo personaggio – e a quale livello! Salvo che per uno o due, quale attore occidentale potrebbe paragonarsi a Mei Lan-fang che, con abiti normali, in una stanza qualsiasi piena di esperti e di critici, recita senza l’aiuto del trucco o delle luci, e riesce comunque ad incantare il suo pubblico?”
Queste parole sono state scritte quarantacinque anni fa. Nel 1935, all’epoca della prima tournée di Mei Lan-fang nell’Unione Sovietica, Brecht viveva a Mosca come rifugiato politico. Fu così colpito da Mei Lan-fang che nel ’36 scrisse un articolo, L’effetto di estraneazione della scena cinese, nel quale parlò entusiasticamente dell’attore che aveva visto e del teatro cinese, affermando che tutto ciò che egli andava cercando da anni e invano, Mei Lan-fang l’aveva già portato ad un altissimo livello artistico. Più di tutte gli piacque l’interpretazione della Vendetta del pescatore. Nell’articolo descrisse dettagliatamente questa scena, con parole di apprezzamento per i movimenti e i gesti di Mei Lan-fang, e l’uso del remo, un semplice artificio, per indicare il tremolio della barca, così pure come il serpeggiare dei fiumi ed ogni altra cosa.
‘Una ragazza, la figlia di un pescatore, è in piedi su di una barca immaginaria e rema, servendosi di un remo che le arriva a malapena alle ginocchia. La corrente diventa più forte e la ragazza a fatica si mantiene in equilibrio. Poi la barca imbocca un’insenatura ed essa rema più lentamente. Ora, questo è il modo di andare in barca, ma questa sequenza ha un qualcosa di pittorico, come se fosse stata cantata in molte ballate, come se fosse conosciuta da tutti. Ognuno dei movimenti della ragazza è familiare come un ritratto; ogni curva del fiume è una avventura nota; ed anche la prossima è già conosciuta, ancora prima di giungervi. Questa sensazione è suscitata nel pubblico dal modo in cui l’attrice recita la scena: è lei che rende il momento così straordinario’.
Ciò mi fa ricordare quanto avvenne, circa nello stesso periodo, quando Stanislavsky mise in scena a Mosca l’Otello. I suoi appunti alla regia di quest’opera denotano la sua preoccupazione per la gondola veneziana. Delle ruote ricoperte di gomma furono applicate sotto la gondola per permetterle di muoversi senza scosse…Seguendo l’esempio delle due navi nell’Olandese volante, la gondola veniva spinta da dodici uomini ed una tela gonfiata da ventilatori veniva usata per fare le onde… Stanislavsky diede istruzioni precise circa i remi di latta, vuoti all’interno e per metà riempiti di acqua, in modo da riprodurre lo sciacquio tipico di Venezia. Nell’Otello si era dunque tentata una certa verosimiglianza, nell’opera cinese La vendetta del pescatore si era invece ricorsi ad una tecnica atta a dissipare questa illusione.
… Ho tentato di dimostrare la relazione dialettica che intercorre fra Mei Lan-fang, Stanislavsky e Brecht. Concordano più o meno, e in modo generico, le loro idee sull’arte ma non le loro opinioni sul teatro.
… Per riassumere, in venticinque secoli si sono alternati innumerevoli metodi di teatro, che praticamente comunque si concentrano in due filoni principali: il teatro che tende a creare un’illusione di vita e il teatro che la respinge. In altre parole, e come nella pittura cinese, il dramma con scenografia realistica o con quella tradizionale. Ma fra questi due tipi di teatro ne è possibile un terzo che riassuma questi due modi di espressione. La scuola del realismo ha una storia di soli settantacinque anni, mentre il naturalismo, dopo aver esaurito la sua missione storica, è per così dire morto di morte naturale. Malgrado ciò, i nostri moderni sembrano incatenati dalle vestigia di questo concetto. E poiché il testo di un lavoro è la base di una rappresentazione teatrale, se esso appartiene alla scuola del realismo non potrà essere messo in scena in altro modo senza creare un attrito fra lo scrittore ed il regista. Ma il teatro tradizionale cinese ha una tecnica più sottile e più duttile di quelle moderne teatrali. Facciamo un solo esempio: se il personaggio, al suo primo ingresso sulla scena racconta chiaramente e semplicemente al pubblico stesso la sua storia, ciò crea un effetto più potente e stringato di quanto non possa ottenere l’intera scena di un lavoro moderno; mentre, con fare semplicemente un ‘a parte’, quindi spartendo con il pubblico un segreto, un personaggio può mettere a nudo i suoi più nascosti pensieri.
In effetti, nel suo lavoro, Brecht ha attinto a diverse tecniche del teatro cinese classico. Una di queste è il suo metodo del ‘racconto’. Egli fa sì che un attore ‘racconti’ il proprio personaggio, come un tradizionale cantastorie cinese che esce ed entra nel suo ruolo a piacimento, talvolta immedesimandosi nella parte, talvolta facendo commenti in prima persona. Questo spostamento di visuale facilita la spiegazione della storia, le caratteristiche del personaggio, infine, chiarifica le intenzioni dell’autore. In una raccolta di saggi, Il teatro da strada, Brecht ha esposto la teoria di questo metodo ed alcune fondamentali peculiarità del dramma epico.
Il principio di Brecht nella stesura delle sue opere teatrali era quello di porre all’inizio l’azione, quindi di creare i personaggi, e non già quello di porre prima i personaggi per poi escogitare degli avvenimenti adatti ad essi. Un’altra tecnica originale fu quella della ‘storicizzazione della vita quotidiana’. E infatti egli disse: ‘Un determinato fatto si verifica nella storia una volta sola e poi è passato per sempre. Ogni età ha le sue specifiche caratteristiche ed ogni cosa che appartenga a quel periodo ne porta l’impronta. Ogni particolare condizione storica determina particolari caratteristiche di un’età e dei suoi personaggi’. Ora, ciò corrisponde all’idea di Engels del ‘tipico personaggio nelle tipiche circostanze’. In una lettera a Lassalle, Engels scrisse: ‘In effetti, i caratteri principali rappresentano classi e tendenze definite, quindi definite idee della loro epoca, e il movente delle loro azioni non deve essere ricercato tanto nella volgarità dei desideri individuali quanto nel flusso storico dal quale essi sono portati’. Di questo ‘flusso storico’ l’esempio migliore è il teatro di Brecht, opere cioè che rappresentano le lotte della vita moderna come Terrore e miserie del terzo Reich.

Da Rosanna Pilone, Teatro in Cina, documenti di teatro, Cappelli 1966.