L’ambiguo incontro: la Signora e l’attore dan
di Rosanna Pilone
1777: in Cina, con editto imperiale, si proibisce alle donne di salire sulle scene. Il motivo addotto: per ragioni di moralità. Non più attrici dunque sui palcoscenici di Pechino, ma solo attori anche in ruoli femminili (cosa del resto comune nella storia del teatro mondiale). Per questo ruolo, detto dan, vengono scelti e comprati bambini dai tratti delicati, forse anche un po’ femminei, ai quali viene imposto un duro tirocinio di anni per imparare a muoversi, gestire e comportarsi con la grazia leggiadra di una dama, a impostare la voce e cantare con toni esili e languidi, infine a camminare (imitando le donne sottoposte dal rango a tale deformazione) con i piedi fasciati. Al di là del fatto teatrale, della splendida tradizione, quale vita c’è oltre la maschera? Sono storie di violenze fisiche e psichiche, di miseria, di prostituzione e omosessualità, di cui molti anziani in Cina hanno ancora ricordo anche se non amano parlarne. Del resto pure Confucio, ai suoi tempi, di queste cose non amava parlare…
Gioia di Primavera si avvicinò alle spalle senza farsi accorgere e rimase in ascolto. Era ammaliata e quel canto la penetrava nel più profondo dell’animo, cadendo come gocce tenere d’acqua benefiche sul suo cuore inaridito. Ma quando si appoggiò alla balaustra per la fatica di quel breve tragitto, il legno emise un leggero scricchiolio. La figura bianca si fermò, tacque e si volse.
Si guardarono a lungo negli occhi in quell’atmosfera rarefatta, senza peso né tempo. Avvolta da quello sguardo e in preda a violenti sentimenti, Gioia di Primavera si sentì quasi mancare. Poi trovò il respiro per chiedere: “Chi sei?” “Sono un attore” rispose la figura con voce strozzata.
“Uno di quelli venuti per il compleanno dell’Onorevole Generale?” “Sì.” “E ti chiami?” “Il mio nome è Belladonna.” “Oh!” fece lei piegando il capo come per nascondere vergognosa il volto.
“Forse non dovevo venir qui.” “No, no” si affrettò a rispondere lei un poco rabbrividendo per l’aria fresca dell’alba.
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“E voi chi siete?” “Sono la Seconda Moglie dell’Onorevole Generale Tigre delle Vittorie. Il mio nome è Gioia di Primavera.” “Oh!” esclamò Belladonna stupito. E fece un inchino.
Si guardarono smarriti per quel qualcosa di inavvertito che stava accadendo e che non potevano fermare. Fu lei a rompere l’imbarazzo.
“So che per gli attori è bene esercitare la voce di prima mattina.” “È così.” “Che canto era il tuo?” “Non era un brano d’opera, ma solo un pezzo che serve per esercitarsi sui toni alti. Un vecchio arrangiamento fatto dal mio maestro sul tema della Tessitrice e il Pastore.” “Oh, conosco la storia. Due stelle si trovano una di qua una di là della Via Lattea, sono due amanti, un uomo e una donna che non si incontrano mai. Quando guardo il cielo in certe notti mi domando se alla fine si sono riuniti o se sono rimasti divisi. L’amore è sempre così. È una storia lacrimevole.” Portò la mano minuscola agli occhi nel gesto di asciugarsi una lacrima. Ma intanto lanciò una occhiata ai piedi di lui per vedere come erano. Non li vide, poiché la lunga tunica li copriva interamente. E anche lui, a sua volta, tentò di guardare i piedi di lei, ma senza risultato. (Ambedue avevano i piedi fasciati).
“Addio” mormorò Gioia di Primavera. “Nessuno deve sapere di questo nostro incontro” aggiunse con tono complice.
“Nessuno.” Si volse per andarsene poi, repentinamente, si girò e disse: “Il tuo canto è poesia, Belladonna.” “Il vostro volto è bellezza, signora” rispose lui guardando quel viso levigato e trasparente come agata. E per la prima volta sentì nel basso ventre uno spasmo acuto di desiderio per una donna.
“Tu mi evochi la mia anima” mormorò a se stesso mentre lei si allontanava a piccoli passi e svaniva dove la galleria svoltava sul piccolo lago. Forse neanche l’aveva udito…
Finito il pomeriggio e conclusosi lo spettacolo, ritornata nelle sue stanze, chiamò subito Collina d’Autunno e le disse di recarsi al padiglione degli attori.
“Ma non devi farti vedere” le raccomandò.
“Padrona” protestò la ragazzina, “come faccio a non farmi vedere?” “Non devi farti vedere, ti dico, altrimenti ti picchio. È una sorpresa che voglio fare all’Onorevole Generale. Imparerò a cantare, ma nessuno deve saperlo.” “Oh che bella cosa, padrona!” fece Collina d’Autunno battendo le mani. “Per l’Onorevole Generale che ama il teatro sarà una bella sorpresa” aggiunse, troppo bambina per rendersi conto delle cose.
“Vai allora. Da quell’attore che è il primo fra tutti e che fa le parti di donna.” “Sì, sì, ho capito” sorrise con intenzione la ragazzina. “So chi è” e mosse le anche in modo equivoco.
“Non fare la sciocca. Muoviti. Gli devi dire che io l’aspetto qui domani, quando l’astro impallidisce. Lui capirà. Ma nessuno deve vederlo. Hai capito?” “Sì, sì. Vado.” “Vai e torna subito” concluse Gioia di Primavera spingendola fuori della porta. E pensando all’Imperatrice Reggente Cixi che amava recitare nel segreto della corte con i suoi eunuchi, si sentì lieta in cuore per l’idea avuta.
Rimase in attesa con i più rosei pensieri.
Nell’alba lattiginosa del secondo giorno, con una luna pallida evanescente ancora nel cielo, guidato da una Collina d’Autunno che si stropicciava gli occhi per il sonno, Belladonna giunse al padiglione della piccola Signora Gioia di Primavera.
“Non andare, non andare” gli aveva ripetuto l’attore esperto in ruoli militari, che aveva visto la ragazzina arrivare e udito la missiva. “Non fidarti, è un tranello.” “Taci” aveva gridato al compagno che in fondo esternava i suoi stessi pensieri. E all’appuntamento era andato.
Una volta entrato nella grande stanza di Gioia di Primavera con il cuore in tumulto, la salutò con un inchino di rispetto al suo rango e alla sua bellezza.
“Vieni Belladonna” disse lei. “Non aver paura” e congedò con un cenno della mano Collina d’Autunno, già pronta a rimanere lì a godersi la scena. Infatti se ne andò di malavoglia, sperando di poter curiosare, non vista, dall’esterno.
“Tu sei un esperto in queste cose” continuò Gioia di Primavera quando la ragazza fu uscita. “Io vorrei apprendere da te a cantare, da te che sei maestro in quest’arte.” “Troppo onore mi fate.”È la verità. Tutti ti ammirano. Nello spettacolo di ieri sei stato superbo.” “Oh.” “Tu che canti come una donna saprai dire a me come fare. “Prese un panchetto basso, lo mise vicino e vi salì sopra in piedi, in equilibrio instabile. “Ecco io mi metto qui, come una brava allieva.” Di testa, di testa! Belladonna ricordava queste parole del suo maestro. La voce deve venire dalla testa! E quante altre cose diceva a lui bambino! Oh, perché non ricordava tutto?” “Di testa” provò a dire.
“Di testa cosa?” fece lei.
“La voce deve venire dalla testa.” “Possibile?” fece lei. “E cosa vuol dire?” Cosa vuol dire? No, non è così, pensò Belladonna in preda a confusione. La voce già c’è in lei, naturale, non è come per noi uomini, noi dobbiamo impostarla come la loro…
“Che c’è?” fece Gioia di Primavera e si volse verso di lui.
Ma nel volgersi parve scivolare dal panchetto, che si rovesciò con un leggero tonfo sul pavimento mentre lei arrancava con le braccia nell’aria per mantenersi in equilibrio. Lui cercò di sostenerla e ci riuscì, lei finì per trovarsi aggrappata a lui, quasi abbracciata a lui.
“Oh!” esclamò Gioia di Primavera.
“Oh!” esclamò Belladonna.
E qui occorre calare un velo su quanto accadde. Se parole o gesti vi furono, nessuno le udì o li vide, né si sa più nulla oltre quanto riferito se non congetture e supposizioni: la vera verità non si conobbe né si conoscerà mai. L’intera vicenda è avvolta nel mistero, come lo sono spesso le tragedie più profonde, dalle motivazioni impenetrabili. Ci si può solo fantasticare attorno e tanti sono gli interrogativi.
Vi fu davvero rapporto tra i due? Un vero ‘nuvole e pioggia’? Fu amore o solo banale vendetta da parte della donna, una rivalsa contro l’onorevole marito o un amoroso sentimento verso il giovane attore, famoso sì ma bistrattato dalla sorte? O forse nulla di tutto questo? E chi alimentò l’ira del Generale contro quel Favorito prediletto, così amato e così odiato poi da fargli usare la spada? Quanto a Belladonna, era la sua sessualità maschile che intendeva ritrovare, la rivincita sulla sua natura malformata dagli uomini che l’avevano venduto e comprato a volontà facendone ciò che a loro più conveniva al momento, una violenza che gli aveva piagato l’anima lasciandogli tale rabbia in corpo da portarlo a quell’amplesso improvviso, che tanto improvviso non doveva poi essere? Indubbiamente trasgressione vi fu, da parte di entrambi, ai ruoli precisi che una società fredda e rituale, dove l’individuo non esisteva, aveva loro affidato.
Come tale fu punita con durezza.
Resta il fatto che di questa storia ne parlarono in tanti, a lungo, sì che l’eco portata dalle voci e dai racconti giunse negli anni lontano, a venire, quando quel tipo di società era al declino. E se ne scrisse anche, in più di un libro. La vicenda di Belladonna tornò nelle ballate dei cantastorie, nei teatrini di paese e nei mercati dove donnette vestite di stracci piangevano sul caso di quel giovane attore del quale non si sapeva bene se era uomo o donna, se amasse gli uomini o le donne e che, diventato ricco per amore di un generale, finì in tragedia per amore di una nobile dama. Poiché fu questo che avvenne.
Fu nell’alba lattiginosa del terzo giorno, con una pallida luna evanescente ancora nel cielo, che un drappello di soldati entrò nel padiglione di Gioia di Primavera spalancando la porta di colpo e cogliendoli, si dice, in flagrante. Indossavano tuniche turchine con alto bordo rosso e sul petto l’emblema del reggimento di appartenenza, ch’era quello del Generale.
Come era stato dato loro ordine, non toccarono la donna, ma in due, baldi e robusti, presero subito il giovane attore e lo strinsero per le braccia tenendolo fermo, poi lo portarono quasi sollevandolo di peso tanto era leggero davanti a quello che sembrava il comandante del gruppo e lì fu messo in ginocchio, le mani legate dietro la schiena. Alto, massiccio, imponente nella sua veste militare, costui dominava tutti.
“Sei tu l’attore Belladonna?” chiese con voce tonante.
Il giovane assentì col capo chino, consapevole della sua sorte.
“C’è una condanna su di te” continuò l’altro e nel dire questo lentamente, come se recitasse su di un palcoscenico, dal fodero intarsiato che portava alla cintura trasse una lunga spada lucente.
La fece volteggiare più volte sul capo del poveretto.
“Oh, no!” esclamò Gioia di Primavera inorridita.
“Oh, no!” esclamò Belladonna implorante.
La soluzione fu impietosa. La spada volteggiò ancora una volta poi si abbassò e con estrema decisione e destrezza la punta della lama sfregiò vilmente la fronte di Belladonna con una grande X.
“Uuuhhh!” L’urlo fu inumano, né il giovane poté portarsi al volto le mani legate sul retro della schiena. Si protese solo in avanti e col sangue della fronte incominciarono a sgorgare dagli occhi le lacrime.
E non fu tutto, poiché venne battuto più e più volte con estrema cattiveria, come quando si colpisce un cane che ha voluto alzare troppo il capo.
Semisvenuta su una sedia, Gioia di Primavera assisteva a tutto questo scempio senza poter far nulla, con profondi lamenti e lacrime amare.
“No, non così!” ripeteva. “Non così!” Alla fine il suo padiglione fu tutto sottosopra, in disordine e con vistose macchie di sangue ovunque.
“Riportatelo là dove il miserabile è stato tolto” era stata la consegna.
Così gemente e sanguinante Belladonna fu trascinato nella Città Esterna dai soldati a cavallo e gettato, come un sacco vuoto, davanti alla Corporazione dei Mercanti di Sale nella polvere della strada.
Quando udì perdersi in lontananza lo scalpitio dei cavalli, il guardiano socchiuse il grande portone con gli dei protettori dipinti sulle ante e guardò nella strada per vedere quello che era successo. Si avvicinò cauto all’uomo ridotto sangue e stracci e sulle prime non riconobbe Belladonna tanto era gonfio e sporco. Ma quand’anche capì che era lui, non osò toccarlo o chiedergli se aveva bisogno di qualcosa. Meglio non intromettersi.
Da Oltre la maschera, storia di ragazzi di opera cinese, ICE, Milano 1995.
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